I manifestanti degli altri sono sempre più verdi








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DUE O TRE COSE CHE SO DI LEI (LA RIVOLUZIONE VERDE). Con menzione speciale a Giuliana Sgrena

Da MONDO CANE controblog di Fulvio Grimaldi

Ho tentato di suscitare qualche dubbio chiedendo se non fosse curioso che per quei manifestanti bastonati a Tehran c’è l’appassionata solidarietà e l’incondizionato sostegno di quegli stessi che altri manifestanti li hanno massacrati di botte e di spari ai Genova, Londra, Rostok, a Ginevra, Seattle, Cairo (per la Palestina), Ramallah (dove il quisling Abu Mazen trucida partigian),Grecia....
Non raccolto.


Finchè le persone credono ad assurdità, continueranno a commettere atrocità.
(Voltaire)

Nulla è più facile dell’autoinganno di chi ritiene vero semplicemente ciò che desidera.
(Demostene)

Le foto rappresentano, accanto ai manifestanti di Musavi, alcune delle centinaia di vittime dei servizi segreti già dello Shah, Savak, poi sussunti pari pari dal primo ministro di Khomeini, Mir-Hussein Musavi, per annegare in un oceano di sangue centinaia di migliaia di rivoluzionari comunisti e islamisti di sinistra che avevano cacciato lo Shah e fatto trionfare una rivoluzione laica e progressista. Si dovrebbero aggiungere le immagini del milione di morti provocati da Musavi negli otto anni di guerra all’Iraq commissionatagli da Ronald Reagan per ridurre l’Iraq alla ragione imperialista e punirlo per aver costituito il Fronte del Rifiuto arabo contro la resa egiziana a Israele.
Se uno voleva appendersi in casa, a mo’ di ammonimento, accanto all’immagine del Che, l’epitome della disintegrazione epistemologica, morale ed escatologica della sinistra, bastava che fotografasse la non si sa se più patetica, o miserabile, scena ieri davanti all’ambasciata iraniana di Roma. Insieme a quattro scaltri iraniani esiliati da trent’anni, del tutto ignari del loro paese, ma speranzosi di rientrare sull’onda munifica della “democrazia”, utili imbonitori dell’ io sono iraniano, io so, un gruppetto di autoctoni agitava le bandiere rosse falci martellate dei due partiti fusi o sfusi, inveiva contro i brogli, inneggiava a Hussein Musavi e ai diritti umani senza la mordacchia di barba e velo. Privi totalmente di bussola, inconsapevoli della funzione attribuita ancora alla loro putrescenza, questi “comunisti” (s’intorcina la lingua a dargli tale nome) si ritrovano a braccetto, anzi proprio lingua in bocca, con il più micidiale concentrato di ammazza mondo mai rigurgitato dalla storia umana. Ecco gli indignati diritti umanisti di Ferrero e Diliberto e, idealmente sullo stesso marciapiede, passeggiatrici come Ciro Reza Pahlavi, erede dell’imperatore da operetta, boutique e stragi, che dalla Casa Bianca si è offerto ai “rivoluzionari verdi” come nuovo Shah e simbolo del’unità nazionale, la coppia Rajavi, leader dei Mujaheddin Al Khalk, mercenari prima di Saddam e ora della Cia, di stanza a Parigi e Washington, Henry Kissinger, che due settimane prima del pogrom verde aveva anticipato una sommossa popolare per buttare giù il “regime”, Netaniahu che non sta più nelle scaglie per vedere avvicinarsi l’ora in cui potrà incenerire nuclearmente il fastidioso rivale regionale, Bush, Obama e tutta l’accozzaglia neocon che per gli eventi di Tehran hanno stanziato 400 milioni di dollari due anni fa, le solite agenzie della destabilizzazione (Ned, Freedom House, USAid, American Enterprise Institute, Council of Foreign Relations) che hanno istruito e foraggiato i caporioni della rivolta, con gli stessi manuali, fondi e tecnologie delle identiche operazioni passate (Serbia, Ucraina, Georgia, Libano, Venezuela….).

La piovra imperialista usa tre tentacoli: quello estremo, fallite le altre opzioni, è la guerra d’aggressione e di sterminio; quello iniziale è l’intervento del Fondo Monetario Internazionale che, corrotto qualche tirannello del paese da depredare, gli impone un debito per Grandi Opere che non si realizzano, debito che non si riesce a ripagare, per cui diktat FMI per misure di aggiustamento finalizzate a spogliare il paese di ogni bene e gettarlo nell’immondezzaio della globalizzazione. Il terzo tentacolo viene mosso quando l’aggressione bellica non è praticabile alla luce del rapporto costi-benefici, o quando l’artiglio FMI non ha potuto far breccia in un establishment custode della sovranità nazionale. E’ quello della destabilizzazione in atto in Iran, riuscita in Serbia, Georgia, Ucraina, fallita in Moldavia, a Beirut e a Caracas. Le sinistre, con falce e martello o senza, sbronzi di prosopopea eurocentrista, colonialisti alla pizza, ignari della merda che gli cola sugli stendardi dai sovrastanti vessilli imperiali, sono il sound-system che accompagna gli sbancamenti del caterpillar. Lo stesso che gli Usa forniscono a Israele per radere al suolo case e ulivi d’intralcio alla pulizia etnica. Non si salva proprio nessuno. In questi giorni di sisma geopolitico dell’8° grado, di aggressione imperialista all’ultimo Stato indipendente e forte nelle due mezzelune che costeggiano il mondo arabo e l’Asia russa e cinese, perfino i puri e duri Comunisti Uniti hanno dedicato (me compreso) mille tempi ed energie informatiche allo sclerotizzato provvedimento di espulsione di Marco Rizzo dal PdCI per aver denunciato le frequentazioni del suo segretario, Diliberto, con gentaccia della P2. Non s’è udito un colpetto di tosse su un fenomeno che rischia di buttarci per aria tutti.
Quando Bertinotti abolì l’imperialismo e nel presunto vuoto infilò la nonviolenza e la scomparsa del “nemico”, il virus deve essere penetrato anche in chi pensava di essere schermato. Dice Giulietto Chiesa, uno che studia, guarda e capisce, che la sinistra è stata sconfitta perché ha sbagliato l’analisi della società italiana e, prima ancora, l’analisi del mondo globale. Le ha sbagliate perché, autoreferenziale, compiaciuta e narcisistica com’è, non le ha studiate. Per l’ennesima volta la cantonata voluta prendere sull’Iran e sul quisling in pectore Musavi, dimostra che non ha saputo capire la portata della cosiddetta “guerra contro il terrorismo internazionale”, tanto da far svaporare il grande movimento contro la guerra (peraltro pesantemente intossicato dalle infiltrazioni umanitariste). Ha accantonato, e dunque accettato, nella sua identità truffaldina e nella sua immensa portata geopolitica e geostrategica, addirittura antropologica, la balla cosmica dell’11 settembre. Ha accettato, senza dirselo e senza dircelo, la narrazione del mondo dei dominatori. Non ha visto niente.

E ha continuato a mutare geneticamente il suo linguaggio, fino a renderlo compatibile con quello dei necrofori, ma facendolo incomprensibile e inutile ai più. Oggi si è attaccata allo strascico di un delinquente e venduto come Musavi, senza neanche andare a vedere le ricevute Cia e Mossad (vedi mio precedente post) che gli spuntano dalle tasche. Senza neanche farsi passare per la testa che anche quello in corso in Iran potrebbe essere un’operazione sporca yankee-sionista, da collocare nel quadro della “guerra infinita” dei ricchi contro i poveri, cioè della lotta di classe. Fighe, queste sinistre! Trascurano addirittura il buon lavoro svolto da Musavi quando, acquistate armi dagli amici israeliani, il pagamento lo ha indirizzato a Reagan e Oliver North perché la facessero finita con quei senzadio di sandinisti in Nicaragua (Iran-Contra), Non ci provano neanche a riequilibrare il loro sostegno ai crimini imperialisti con qualche sospiro sui 70 partecipanti a un funerale massacrati da un drone Usa in Pakistan, o sui 140 civili trucidati in un villaggio raso al suolo in Afghanistan, piccolo campione, negli stessi giorni, di un genocidio che Obama ha allargato dall’Afghanistan al Pakistan.

Ieri sera sono andato a un’iniziativa di tale associazione BADGIR, di iraniani esuli e loro allievi, capeggiata dal classico personaggio di estrazione tra il l’intonacato di Assisi e il non-violento equo e solidale. Ci vengono somministrate strazianti testimonianze di martirio lette da connazionali emule delle verdi signorine dei quartieri alti di Tehran, un filmato che rinnova l’accuratissima selezione fatta dalle inviate dei lobbisti sionisti dei nostri media, compresa la scena apicale della povera Neda morente, un predicozzo accorato del locale Ghedini di Musavi che, per correttezza e completezza dell’informazione-valutazione gareggia con i pronunciamenti di Berlusconi su terremoti, crisi e ragazze-immagine a Villa Certosa. Ho tentato di suscitare qualche dubbio chiedendo se non fosse curioso che per quei manifestanti bastonati a Tehran c’è l’appassionata solidarietà e l’incondizionato sostegno di quegli stessi che altri manifestanti li hanno massacrati di botte e di spari ai Genova, Londra, Rostok, a Ginevra, Seattle, Cairo (per la Palestina), Ramallah (dove il quisling Abu Mazen trucida partigian),Grecia. Non raccolto.

Ho provato allora a raccontare alcuni fatti. Visto che il corifeo della rivoluzione verde aveva denunciato, a prova inconfutabile dei brogli, l’impossibilità del “regime” di conoscere i risultati appena poche ore dopo la chiusura dei seggi, ho spiegato che le urne installate in Iran erano 45.713 e che ognuna poteva contenere fino a 860 schede, ognuna con la semplice scelta di un solo nome. Ci vuole più di un paio di ore per contare 860 schede per urna e trasmettere i conteggi elettronicamente al centro? No, non ci vuole. Senza contare che la scienza statistica ha provato che basta lo scrutinio del 5% dei seggi per avere una certezza del 95% del risultato finale. Non era più sospetto il fatto che Musavi, dato per perdente per due a uno da tutte le rilevazioni straniere fatte nei trenta giorni della campagna nelle trenta province del paese, due ore prima della chiusura dei seggi si fosse già proclamato vincitore? E che questa rivendicazione era basata su una lettera, provata poi apocrifa, di un impiegato di basso ordine alla Guida suprema Ali Khamenei che, ore prima della chiusura, annunciava la vittoria di Musavi? Come se un tale esito potesse essere oggetto di corrispondenza tra un travet del ministero degli interni e la massima autorità del paese.

Da anni i servizi segreti israeliani e anglosassoni sanno come controllare e intervenire sulle reti sociali. Non è sorprendente che alla notizia della stravittoria di Ahmadi Nejad, decine di migliaia di telefonini ricevessero sms anonimi in cui si invitava alla rivolta, alle concentrazioni in dati luoghi, ai parafernalia verdi da indossare? E innocente il fatto che sia sfuggito all’attenzione degli scrupolosissimi narratori degli eventi iraniani quel celeberrimo Jared Cohen, del reparto “policy planning” del Dipartimento di Stato Usa, che, prima, ha diffuso un video su come organizzare una folla eversiva e, poi, riempito di comunicati all’uopo tutti i twitter iraniani, ha chiesto al “social network”di ritardare i programmati lavori di manutenzione nelle ore critiche della rivolta di Tehran, onde non interrompere il flusso dei suoi tweets ai compari persiani? E come mai il guru locale di Musavi non si era peritato di far apparire il rivale battuto come vindice dei bisogni sociali, proprio all’ombra di un padrino, Rafsanjani, uno degli uomini più ricchi del mondo, corrotto ladrone e fautore di liberalizzazioni e privatizzazioni (petrolio in testa, povero Mossadegh) contro i provvedimenti sociali adottati per i poveri dal presidente uscente, pur sotto il morso delle sanzioni inflitte al paese? Come mai, ululando contro la sanguinosa repressione di pasdaran e basiji, secondo lui partita ancor prima delle manifestazioni, ha trascurato di parlare della caterva di immagini trasmesse da televisioni non assoldate, come Al Jazira e anche alcune emittenti Usa, che mostravano turbe di rivoltosi che, all’atto dell’annuncio finale, già stavano devastando la città bruciando cassonetti, banche, negozi, edifici pubblici e sparacchiando a più non posso? Cosa ne è stato delle otto guardie uccise dai rivoltosi verdi di cui, tra i denti, hanno riferito i telegiornali italiani solo poche ore prima? E a proposito della giovane Neda, la cui agonia è diventata una specie di icona cristologica, presuntamente colpita nel fuoco degli scontri, che invece si trovava a passeggio da sola, in piena tranquillità, lontanissima dalla zona delle turbolenze, senza presenza di polizia o armati di alcun genere, ma fulminata da un cecchino invisibile e ignoto? Perché si sarebbe dovuto uccidere una donna disarmata, lontana dal conflitto, senza storia politica personale? Per fornire un martire alle forze che puntano alla disintegrazione del paese? Non gli veniva spontaneo il ricordo dei tiratori scelti installati dai golpisti venezuelani sui tetti, assassini, insieme ai poliziotti arruolati nel golpe, di una sessantina di difensori della legalità, dissolti nel nulla ma filmati e riconosciuti come agenti israeliani?

Come mai sono sfuggite al nostro apostolo verde, come anche agli occhiuti professionisti della nostra informazione, nessuno dei quali ha mai sentito il bisogno di riferire il parere di chi non fosse aureolato di verde e elegante padrone dell’inglese, alcune date assai significative, come: 23 maggio 2007, ABC News: La Cia ha ottenuto il nulla osta segreto presidenziale per allestire operazioni “nere” destinate a destabilizzare il governo iraniano; 27 maggio 2007: Il quotidiano londinese Telegraph riferisce: Bush ha firmato un documento ufficiale che approva i piani della Cia per una campagna di propaganda e disinformazione intesa a destabilizzare e quindi deporre il regime teocratico dei mullah in occasione delle prossime elezioni presidenziali; 16 maggio 2007, il Telegraph riporta le dichiarazioni dell’ambasciatore Usa all’ONU, John Bolton, secondo cui un attacco militare Usa all’Iran sarebbe l’opzione estrema, dopo il fallimento delle sanzioni economiche e del tentativo di fomentare una rivoluzione popolare; 29 giugno 2009, il premio Pulitzer Seymour Hersh scrive sul New Yorker: Il Congresso ha approvato una richiesta del presidente Bush di finanziare una forte escalation di operazioni coperte contro l’Iran, finalizzate a destabilizzare attraverso sabotaggi e moti popolari la leadership religiosa del paese; 9 giugno 2009, poche ore prima delle votazioni, il consulente neocon del Dipartimento di Stato Kenneth Timmerman scrive: Si sta parlando di una “rivoluzione verde” a Tehran. La National Endowment for Democracy e George Soros (sempre quelli da Belgrado in qua) hanno già speso milioni per promuovere una rivoluzione colorata… Buona parte del denaro è stato indirizzato nelle mani dei gruppi filo-Musavi che hanno ottimi rapporti anche con altre Ong internazionali; due settimane prima delle elezioni, Henry Kissinger (quello dell’assassinio di Allende e del golpe di Pinochet) dichiara che ci sarà una rivoluzione verde in Iran alla quale il mondo libero dovrà dare tutto il suo appoggio.

Come facevano questi fetidi figuri a sapere, prima del voto, che ci sarebbe stata una “rivoluzione verde”, a meno che tale rivoluzione non fosse stata accuratamente preparata in quei quartieri? Visto anche che Musavi e i suoi si dicevano tanto fiduciosi della vittoria? Vogliamo scommettere che nessuno dei bravi giornalisti, dei commossi e indignati lottatori per la democrazia e i ditti umani risponderà a queste domande? Certamente non quella Marina Forti, sincrona con tutto quello che viene rigurgitato da Tel Aviv, che da settimane riempie il “manifesto”, ora affiancata anche da quel dabbenuomo di Tommaso de Francesco, con il monopolio delle voci musaviane, la favola dei brogli, gli osanna ai “giovani” filo-occidentali. Ma neanche risponderà quella indicibile perla nella collana delle cacasenno che dal rapimento in Iraq ha spiccato il volo per la cattedra della più filo americana esperta di cose mediorientali nell’intero cucuzzaro mediatico italiota.

Avrei voluto porre altre questioni all'avvocato del papi persiano trombato. Ma la di lui sensibilità democratica a questo punto si dissolse svanì come il profumo di una rosa in sfacelo.. Sbattuta con violenza una cartelle sul tavolo, si mise a sbraitare cose intrugliate e incomprensibili, probabilmente senza senso. Alla Ghedini, appunto. Poi, in un impeto battagliero, si lanciò al di là della tavola e, insieme alla moglie strepitante e che pareva un mulino a vento sotto la bufera, sempre urlando, mi si avventò contro. Il bassotto Nando, non avvezzo a escandescenze persiane, tirò il guinzaglio e mi trascinò fuori. A riveder le stelle.

Chiudo malissimo questo pezzo, nel senso che parlo di sfaceli politico-professionali riferendomi a un’ultima pagina del “manifesto” (24/6/9) intitolata “Baghdad, la speranza”, con riferimento a un Iraq che sta vivendo una grande offensiva della Resistenza e, simultaneamente, come sempre, il depistaggio da quella attraverso stragi confessionali operate da Usa e fantocci. Riproduco dall’unico giornale che disperatamente ci tocca leggere, con un senso forte di nausea, alcune gemme di una piena e gioiosa legittimazione dell’apparato assolutamente delinquenziale dagli occupanti messo in testa al popolo più martirizzato del mondo. Avallata la fandonia che ormai “tutto va bene, madama la marchesa”, di democrista memoria, nell’Iraq ininterrottamente maciullato da occupanti, carcerieri, milizie di marca iraniana, torturatori, ladri di Stato, Giuliana Sgrena offre una splendente tribuna al ministro degli interni (non ministro-fantoccio, come avrebbe scritto Stefano Chiarini, che si rivolta nella tomba come una trottola), Jawad al Bolani. Ne esce un ritratto dell’uomo e del paese che non sfigurerebbe se fatto al campione del buongoverno delle Mille e una notte, Harun El Rashid. Di suo, la piagnucolona islamofobica aggiunge di tanto in tanto solo incisivi riferimenti a quei brutaloni di Al Qaida che ostacolano la generosa ricostruzione democratica e sociale tentata con tutti i mezzi dagli occupanti e loro emissari indigeni. La Resistenza, che ha ripreso a uccidere un soldato yankee al giorno, decine di contractors e militari fantocci e agisce con crescente intensità nella regione tra Baghdad e Mosul, per Sgrena non esiste. Esiste Al Qaida, si DEVE chiamare Al Qaida, che a nessuno più venga il dubbio che i bravi governanti e i loro padrini avrebbero già rimesso in piedi paese e popolo, se solo non ci fossero quei dannati terroristi islamici. Ovviamente inventati, anche dalla solidale Sgrena, per satanizzare i partigiani della liberazione, con il risultato che non c’è più al mondo uno straccio di compagno che solidarizzi con quelli. Gongolante di orgoglio patrio, Sgrena arriva addirittura a chiedere al delinquente installato al ministero della repressione se è davvero soddisfatto dell’addestramento che i nostri carabinieri impartiscono a quegli ascari dell’occupante che sono i poliziotti iracheni. Entrambi esultano agli onori e ringraziamenti, resi nella risposta, al contributo offerto dall’Italia “sotto la supervisione della Nato”. Impagabile la speranzosa domanda finale della “giornalista comunista”: “Comprerete anche armi dall’Italia?” Dalla Finmeccanica sono subito partiti i commessi viaggiatori.

Sarà stata la fretta, la simpatia ispiratagli dell’interlocutore, le secchiate di vernice rosa da spandere su tutto l’Iraq, rimane curioso che Sgrena non si sia ricordata che quel Ministero degli Interni governava milizie personali che andavano in giro a trapanare la testa a gente con nomi sunniti, a rastrellare donne e bambini da stuprare o minacciare di ogni possibile tortura se non avessero fornito dati su mariti, padri, fratelli, figli, combattenti. O solo oppositori. Che in quel ministero gli stessi statunitensi, scottati da Abu Ghraib e seguenti e desiderosi di riequilibrare la manomorta scito-iraniana sull’Iraq e sul genocidio con la propria, scoprirono negli antri sotto l’edificio un’immensa prigione, sale di tortura, fosse comuni e residui umani che neanche Auschwitz. Del tanfo di morte che si sprigiona da quei sotterranei e che aleggia in tutto l’edificio e insudicia ogni parola del suo interlocutore “ministro”, Sgrena non si è avveduta. Saranno stati i profumi di Tehran Alta, passatile da Marina Forti, ad averla circonfusa e protetta.

Commenti

francesco ha detto…
1-guarda, Giuditta, che quelle parole nel mio post sono di Fulvio Grimaldi, non mie, metto il link, infatti.
di mio c'è solo il titolo, che mi è sembrato perfetto per quelle parole.
2-ho visto il video che sta nel post sopra, quello dello sparo.
mi sa che quei due su cui il video insiste non possono essere Neda e il padre, insomma quelli che passano per Neda e padre dell'immagine sotto dello stesso post, a mio parere.
il motivo è che la donna che passeggia sembra avere i pantaloni scuri come la maglietta, lui ha dei pantaloni chiari, tipo jeans.
poi nella foto a terra lei ha i pantaloni chiari come quelli di lui, molto più chiari della maglietta.
per questo i due che passeggiano non sono i due a terra, o almeno non è lei.
considerazioni troppo da Sherlock Holmes?
francesco ha detto…
se l'uomo e la donna sono quei due che il video osserva a pochi metri dall'uomo con la giacca, alla fine del filmato, se no quello di prima non ha senso.

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