Marketing. Chi la fa l'aspetti!



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Descrizione:

Derren Brown convoca due pubblicitari nel suo ufficio e li sfida ad ideare un cartellone pubblicitario per una società di tassidermia, in 30 minuti.
Mette una busta sigillata sulla tavola, e li lascia lavorare.
30 minuti più tardi ritorna e apre la busta, e i due pubblicitari si rendono conto che quello che hanno ideato è esattamente la stessa pubblicità di quella che si trovava nella busta.

Derren Brown è un indovino? Oppure....

Commenti

Anonimo ha detto…
Derren Brown è uno dei più grandi illusionisti di oggi. usa in modo magistrale PNL, ipnosi, suggestione, cold reading e fa apparire tutto magico, quando magico non è.
sa solo leggere le persone e dire loro quello che si aspettano di sentire.
Ron ha detto…
Ciao Giuditta, bello il video! Sì in effetti è proprio così che la pubblicità ma più in generale la “realtà” che percepiamo viene immagazzinata dal nostro cervello.
L'advertising attraverso una storia trasmette degli stimoli vanno a costruire l’identità di marca (ad esempio per una birra il sole, una spiaggia, degli amici) o sono alla base di quella marca. Naturalmente non è sufficiente, una buona pubblicità è in grado di inserire l’oggetto di valore in genere la marca (ma non necessariamente), in un contesto narrativo efficace. Cioè la storia come un film deve reggere, altrimenti lo spettatore si disingaggia, si irrita o cambia canale. La costruzione della storia efficace è una fase creativa umana infinitamente più importante del neuromarketing (che in realtà è una tecnica che si limita a misurare l’ingegno creativo dello spot). Questo aspetto ci porterebbe molto lontano ma basti pensare che le tecniche di narrazione si rifanno alla semiotica, alla retorica o addirittura allo story telling holliwoodiano.
Infine storia + elementi legati alla marca vanno a sedimentarsi nel nostro cervello in modo più o meno conscio insieme alle emozioni che lo spot ha saputo trasmettere, vanno con o senza decodifica razionale (come nel caso del video trasmesso qui in cui i due creativi hanno visto senza decodificare gli stimoli) in una memoria che si definisce implicita, dalla capacità pressoché infinita e operante con il linguaggio dell’inconscio (ovvero delle emozioni non mediate dalla coscienza).
Questi elementi come un mulino bianco o una virgola rossa, quando ce li troviamo “casualmente” davanti appiccicati ad un prodotto vengono riconosciuti (senza necessariamente memoria dello spot), scatenano delle emozioni (le stesse dello spot) e fungono così da marcatori somatici potentissimi per le nostre decisioni di acquisto. Agiscono cioè da facilitatori della decisione, senza pensarci su. Infatti lo ha già fatto la parte inconscia del nostro cervello (attraverso l’amigdala, la corteccia orbito frontale e quella parietale). Le marche invece che non fanno pubblicità o che non conosciamo non godono di questo privilegio. Siamo costretti a leggere tutte le etichette prima di farci un’opinione che ci convinca ad acquistarle.

Per quanto riguarda l’efficacia degli stimoli passati in rapida sequenza (cioè sotto la soglia di coscienza di un individuo) le neuroscienze hanno recentemente dato conferma positiva del fatto che il cervello codifica pure quelli. Al momento però che io sappia nessuna azienda utilizza questo tipo di tecnica scorretta e illegale. Gli stessi managers si rifiutano di applicarle.

Il problema, ti farò sorridere, è che la maggior parte delle aziende non sanno sfruttare neppure la parte buona dell’effetto pubblicitario. Negli ultimi anni, causa la fretta, l’ignoranza di tutti gli attori coinvolti nel marketing, e le logiche che non consentono mai di riflettere un attimo prima di una qualunque decisione, le comunicazioni sono diventate sempre più piatte e più brutte. Sono rare le pubblicità che dati di vendita alla mano riescono a ripagarsi l’investimento sui media di comunicazione. In un recente studio della Deutsche Bank solo il 50% delle comunicazioni TV si ripagano l’investimento le altre 50% buttano via i soldi in quanto spendono di più in pubblicità di quanto riescono a guadagnare dalle vendite in più generate.
Quanti anni hanno slogan del tipo “piace alla gente che piace”? E quanti se ne sentono oggigiorno di originali e che ci fanno pensare? Certo allora c’era molta meno pubblicità, ma è vero che oggi giorno la pubblicità incita la gente solo a “consumare in modo volgare e irriflessivo e a non chiederci altro”. E questo non va bene, ha fatto diventare brutta la società che continua a sfornare dalle università manager che ci aiutino a consumare e diventare sempre più brutti in nome del dio denaro! Confido in questa crisi affinché queste cose emergano alla coscienza e ci convincano che cambiare il mondo è diventato urgente.
Giuditta ha detto…
Ciao Ron! Ma secondo te questo "esperimento" è replicabile in condizioni diverse? è replicabile con persone diverse, persone che facciano un altro tipo di lavoro?
E' possibile che delle immagini o dei colori visti di sfuggita restino così impressi?
Non sarà che questi due signori, sapendo di avere solo 30 minuti di tempo per "creare", siano stati condizionati per restare attenti più del solito a quello che vedevano?
Ti è mai capitato di assistere ad un esperimento di messaggi subliminali? Nel tuo lavoro li utilizzate spesso? Se si puoi fare un esempio?
Ron ha detto…
Ciao Giuditta, può essere come tu dici, che la tensione di avere 30 minuti li abbia "obbligati" ad aumentare il carico cognitivo attenzionale durante il viaggio. D'altra parte il giochetto di Brown era questo.
Nel mio lavoro non mi è mai capitato di vedere messaggi subliminali, o mi spiego messaggi che vengono inseriti surrettiziamente. Ma non escludo che qualche azienda ci giochi con questo. Secondo me però non serve, è sufficiente costruire una buona storia legata al vissuto del brand che gli spettatori consumatori attivano ricordi o sensazioni piacevoli. Faccio un esempio su uno spot di un biscotto andato in onda qualche tempo fa. C'era una donna che dopo aver mangiato il biscotto in questione ricordava di quando era bambina e andava con il suo nonno nei campi a raccogliere le uova (quando mai oggi le galline stanno nei campi!), poi la scena si trasferisce in un campo di grano in cui la bambina respira aria buona e tocca le spighe, infine si vedono le uova e la farina (di cui sopra) cadere e mescolarsi nel nostro biscotto (l'oggetto di valore che è anche il valore della genuinità del tempo passato/ perduto). Infine lo spot si chiude con le in una famiglia allegra che consumano la colazione. Ebbene tutti questi passaggi chiave che ho descritto hanno attivato picchi di memorizzazione (e non necessariamente di attenzione) segno di una codifica non del tutto cosciente. Lo stato emotivo era tranquillo e piacevole (area della gratificazione). Questo possiamo affermare è uno spot che funziona e ha agito con elementi espliciti sul ricordo delle persone. Un ricordo speciale perchè non necessitava di elaborazione cosciente. Viene immaggazinato così come è e utilizzato in seguito davanti allo scaffale del supermercato quando il nostro biscotto di marca è lì davanti a noi. Automaticamente allunghiamo il braccio e compriamo (certo non è una relazione 1-1 ma aumenta notevolmente le probabilità di acquisto).
Certo il confine tra messaggi subliminali e elementi narrativi (tutti ricercati e voluti dalle aziende) legati al brand è molto labile. Certo spesso come dicevo gli spot (diventati così brutti e mal girati) non scatenano alcuna reazione.
Pertanto il neuromarketing è uno sguardo nell'inconscio delle persone, getta luce su come funziona l'advertising in quanto consente di capire quale pezzo/frame della storia funziona (in genere meno di 2 secondi) e quali no (la maggior parte del tempo). Sarebbe bello che si iniziasse a discuterne in modo più esplicito. Tutti noi abbiamo il diritto dovere di capire come funzioniamo e come alcuni pezzi della società usano queste informazioni per manipolarci o farci desiderare (spesso l'inutile). Un saluto e a presto con questi argomenti che come vedi mi appassionano.
Giuditta ha detto…
@ Ron...questi argomenti appassionano anche me! Quello che hai scritto nei commenti è veramente interessante. Che ne diresti di ricavarci un articolo che te lo pubblico? Hai delle idee da propormi?
Ron ha detto…
Giuditta, mi piacerebbe, ma questo genere di attività porta via sempre tempo sottratto al lavoro. Facciamo così, uniamo l'utile al dilettevole, siccome mi appresto a scrivere un libro su questi argomenti proverò a scrivere in parallelo anche un pezzo di una cartella per il tuo blog (naturalmente senza fare nomi di marche tanto il senso si capisce). Promesso. Un saluto
Ron ha detto…
Ciao Giuditta, mi ero dimenticato che avevo pubblicato già un articolo sull'argomento. Lo puoi leggere su questo link a partire da pagina 3

http://www.gfk.com/imperia/md/content/gfk_eurisko/socialtrends/social_trends_108.pdf

Leggendolo capirai quali sono le finalità e le tecniche utilizzate ora nel neuromarketing. Nell'articolo si applicano queste tecniche per le pubblicità sociali. Un saluto e a presto.

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