L'adultocentrismo è una vera e propria arma puntata sul futuro dei nostri figli.

Essere adulti non significa essere maturi, significa solo essere cresciuti; l'immaturità attuale manifestata in particolar modo dalla mia generazione, quella dei quarantenni, è simbolo della "cattiva" gestione dello strumento educativo dei nostri genitori, quelli degli anni sessanta, viziato dal loro cattivo processo evolutivo condizionato dal periodo bellico e post bellico della guerra mondiale.
L'anaffettività oppure la iperprotettività che ci hanno proposto ha espresso il loro disagio vissuto durante la loro infanzia e la loro adolescenza, periodo in cui le priorità erano dettate dalla sopravvivenza alla guerra o dal raggiungimento di uno status sociale dignitoso appena dopo l'evento catastrofico che aveva distrutto il nostro paese.
Se penso ai miei genitori vedo un padre costretto "balilla" e una madre alle saline di Tarquinia, quindi due giovani sposi in cerca di fortuna emigrando dal loro paese, sacrificando la formazione e lo studio al duro lavoro di sopravvivenza e di futuro sereno per noi figli, ove la serenità significava cibo, scuola e sostanziale mese coperto.
Con i miei coetanei e con quelli appena poco più grandi abbiamo vissuto le memorie dei nonni combattenti o sfollati oppure partigiani, dei genitori bambini o adolescenti al traino di nonni o di tutori di fortuna fra un bombardamento e l'altro, abbiamo giocato con quegli strumenti simili alle generazioni precedenti, quindi siamo stati proiettati nell'era moderna dei computer (vic20) dei videogiochi e soprattutto del consumismo vero, reale, diffuso.
Siamo cresciuti negli anni di piombo con quell'incertezza stragista e politica che inconsciamente ha richiamato la totale insicurezza sul futuro che i nonni ed i genitori ci avevano proiettato con la loro ansia da guerra, con la ricerca spasmodica del posto fisso, della certezza di uno stipendio, della cessione della "dignità" contro la raccomandazione tale da assicurare ai figli quel che loro hanno dovuto sudare, ottenendone solo una piccola parte.
Ansia perciò, futuro a breve termine, risultati gratificanti a brevissimo termine ma con una lunga scadenza, quindi allungamento delle nostre ambizioni, dei nostri sogni, dei nostri reali desideri, conflittuali con quelli dei nostri genitori.
L'atteggiamento che si è sviluppato è stato quello adultocentrico, cioè basato sulla soddisfazione delle esigenze dell'adulto rispetto a quelle dei bambini e degli adolescenti.
Se a quel tempo tale era giustificato dai "traumi" dei genitori e dei nonni causati dalla guerra oggi non possiamo giustificarlo con nulla se non con la nostra incapacità (immaturità) di essere genitori.
Assisto da tempo al rapporto che i genitori della mia generazione hanno con i propri figli, moltissimi sono separati e vivono i figli solo nel rispetto dei termini di visita, rapporto che fin troppo spesso cerca la compensazione delle sofferenze, delle esigenze e delle aspettative del genitore adulto.
L'incontro fra genitori e figli avviene solo in quell'istmo ludico caratterizzato dalla immaturità, dalla irrazionalità, che purtroppo non termina alla fine del gioco condiviso ma persiste anche nella normale vita familiare, trasformandosi in un problema per i bambini, per i figli.
Genitori immaturi capaci di far crescere i figli ma non di crescerli.
L'adultocentrismo è una vera e propria arma puntata sul futuro dei nostri figli, il quale non ha più un breve termine ma solo una costante quotidianetà che sviluppa apatia emotiva, noia, insoddisfazione, insicurezza, ansia, angoscia che inevitabilmente sono proposte alla attenzione dei genitori nei diversi modi espressivi dei bambini e degli adolescenti, soprattutto con il disagio, che rappresenta il problema dei giovani genitori con il quale giustificano la propria ansia, aggiunta ai problemi relazionali o di lavoro e alle altre frustrazioni.
I nonni in parte ci salvano, perchè pur non essendo stati dei grandi educatori sono stati dei bravi genitori, ed ora, con la maturità, sembrano capaci di dare ai nipoti quel che non hanno saputo e potuto offrire ai propri figli.
Scatta così la delega educativa ed il sollevamento dal peso di educare i propri figli, fatto che richiede quella messa in discussione che molti genitori sono incapaci di fare, abituati a proiettare ovunque le proprie responsabilità e le proprie debolezze.
Debolezza, questo è l'atteggiamento adultocentrico, anche perchè rende deboli i nostri figli, li spinge verso dei fragili appigli immediati, da reiterare costantemente in una falsa certezza di avere un riferimento sicuro, rimanendo imprigionati in sostanze, comportamenti e falsi miti che ne condizioneranno l'evoluzione.
Abbiamo il dovere di imparare a porci in discussione, non per cercare colpe ma per capire le soluzioni pratiche ai problemi che ci affliggono, nei quali e per i quali i nostri figli sono appesantiti e resi vulnerabili.
Abbiamo, noi quarantenni, una grande responsabilità data dalla elaborazione dei traumi patiti dai nostri genitori e dalla prevenzione di quelli che patiranno i nostri figli a causa nostra.
Per farlo occorre fermarci, sospendere la paura, la nostra fuga, guardare i propri figli ed anche quelli degli altri, anche chi non è ancora genitore, ed osservare i bambini.
Noteremo dei comportamenti del tutto incompatibili con la loro età cronologica, di bambini o di adolescenti, noteremo dei tic nervosi, ansia, angoscia, apatia, noteremo che i bambini sono abituati ad alzare la testa per guardarci.
Questo perchè non abbiamo ancora imparato ad abbassarci per permettere loro di guardare avanti ed incontrare gli occhi dei loro genitori, che si sono piegati, semplicemente abbassando le ginocchia, senza gridare, senza mortificare, possibilmente con la sigaretta spenta, possibilimente insieme fra moglie e marito o perlomeno fra madre e padre.
Di questo, oggi, i nostri figli hanno bisogno, di umiltà e di consapevolezza che le loro esigenze di bambini hanno, non la priorità, ma la complementarità su quelle degli adulti.
Capire che le nostre esigenze sono complementari a quelle dei nostri figli significa prendere coscienza di essere genitori, ognuno con le proprie esigenze di adulto, riuscendo così a ridurre l'adultocentrismo che costringe spesso i nostri figli ad "essere i nostri genitori" i quali si ritrovano a fare mediazione fra genitori conflittuali, a rinforzare il singolo padre o la singola madre che vivono l'angoscia da separazione.
Occorre, oggi più che mai, spegnere il televisore, chiudere il portafoglio, prendere i propri figli e portarli al mare, nei boschi, in montagna, ed ascoltarli, osservarli, guardarli muoversi senza indicazioni, senza doveri, senza una guida ansiogena.
Vedremo noi stessi quando eravamo bambini, quando il pratino o la piazzetta sotto casa erano le nostre ludoteche, coi fucilini a gommini, coi gattini ed i cuccioli da portare di nascosto a casa, con le medaglie fatti di tappi di bottiglia e carta stagnola, coi voti brutti da camuffare, con le giustificazioni false e le nonne morte decine di volte da raccontare al professore di turno, coi primi baci e la sensazione di amore che ci faceva correre e saltare.
Vedremo che siamo tutto quello che abbiamo sempre combattuto e che stiamo proiettando sui nostri figli, più fragili di quanto lo eravamo noi alla loro età ma più apparentemente protetti da quella apatia difensiva che gli permette di staccarsi dalla realtà e nascondersi nei tanti rifugi attuali.
Potremmo, con una semplice gita coi figli (magari bastasse), risolvere i nostri conflitti antichi per dare tregua alla guerra che combattiamo tutti i giorni.
Fra venti anni saremo dei "vecchi", forse dei nonni, non aspettiamo quel momento per essere degli educatori.
Impariamo da oggi a capire che essere genitori non significa essere degli educatori, educhiamoci perciò ad essere genitori....
Fabio Piselli

278_ una mia considerazione sull'adultocentrismo...


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