La guerra israeliana è finanziata dall’Arabia Saudita e dall'Egitto
L’attacco israeliano contro Gaza è un’opzione preparata da lunga data. La decisione di attivarlo è stata presa in risposta alla nomina dell’amministrazione Obama. I cambiamenti strategici a Washington sono sfavorevoli per gli scopi espansionistici di Tel Aviv. Israele ha dunque cercato di forzare la mano della nuova presidenza statunitense mettendola dinanzi al fatto compiuto. Ma per organizzare la sua operazione militare, Israele ha dovuto sostenersi su nuovi partner militari, l’Arabia Saudita e l’Egitto, che costituiscono ormai un paradossale asse sionista-musulmano.Riad finanzia le operazioni, rivela Thierry Meyssan, mentre Il Cairo organizza i paramilitari.
Da sabato 27 dicembre 2008, alle 11:30 (ora locale), le forze armate israeliane hanno lanciato un’offensiva contro la striscia di Gaza, inizialmente aerea, quindi terrestre dal 3 gennaio 2009, 18:30 (ora locale). Le autorità israeliane dichiarano che esse riguardano esclusivamente obiettivi di Hamas e di prendere le massime precauzioni per salvare le vite dei civili.
In pratica, occuparsi dei “siti di Hamas” significa distruggere non soltanto gli edifici di questo partito politico, ma anche gli alloggi dei suoi quadri e, soprattutto, tutti gli edifici ufficiali. In altri termini, questa operazione mira a distruggere ogni forma d’amministrazione nella striscia di Gaza.
Il generale Dan Harel, capo di stato maggiore aggiunto, ha precisato: “Quest’operazione è diversa dalle precedenti.. Abbiamo alzato di parecchio il limite ed andiamo in questa direzione. Non colpiamo soltanto i terroristi ed i lanciarazzi, ma anche tutto il governo di Hamas. Miriamo agli edifici ufficiali, alle forze di sicurezza, e scarichiamo la responsabilità di tutto ciò che avviene su Hamas, senza fare alcuna distinzione tra le sue varie ramificazioni.” D’altra parte, “fare il possibile per salvare le vite dei civili” sorge dalla retorica pura e non ha alcuna possibilità di realizzarsi: con circa 3900 abitanti per chilometro quadrato [1], la striscia di Gaza è uno dei territori dalla più alta densità di popolazione al mondo. È materialmente impossibile raggiungere gli obiettivi scelti senza distruggere, allo stesso tempo, le abitazioni vicine.
Le autorità israeliane affermano agire per legittima difesa. Secondo esse, diversi lanci di razzi contro lo Stato ebreo hanno provocato la rottura unilaterale della tregua da parte di Hamas, il 19 dicembre 2008. Ma Hamas non ha rotto la tregua. Una tregua di sei mesi era stata conclusa tra Israele ed Hamas tramite l’Egitto, Israele si era impegnato ad interrompere il blocco della striscia di Gaza; l’Egitto si era impegnato a riaprire il punto di passaggio di Rafah, ed Hamas si era impegnato a fermare i tiri dei razzi contro Israele.
Tuttavia, Israele e l’Egitto non hanno mai adempiuto ai loro impegni. Hamas interruppe i tiri dei razzi per dei mesi. Li riprese a novembre, in seguito a una mortale incursione israeliana.
Traendo il bilancio della duplicità dei suoi interlocutori, Hamas ha giudicato inutile rinnovare un accordo a senso unico. I lanci dei razzi contro Israele hanno avuto luogo dal 2001. Circa 2500 tiri sono stati registrati in 7 anni. Hanno ucciso un totale di 14 Israeliani fino al lancio dell’offensiva. Non hanno fatto alcuna vittima tra la fine della tregua e l’ultimo attacco israeliano. Ma la nozione di difesa legittima suppone una proporzionalità dei mezzi, ma non è così ovviamente.
Tsahal ha impiegato una sessantina di bombardieri ed almeno 20000 uomini super-equipaggiati di fronte a resistenti armati di razzi rudimentali e di adolescenti forniti di pietre. È impossibile oggi calcolare i danni materiali ed umani. Al decimo giorno di bombardamenti, gli ospedali ed i servizi d’emergenza hanno contato 530 morti. Questa cifra non tiene conto delle vittime morte prima dell’arrivo degli aiuti, i cui corpi vengono recuperati direttamente dalle famiglie, senza informare i servizi sanitari. I feriti si contano a migliaia. In mancanza di medicine, non potranno ricevere le cure necessarie e saranno, per la maggior parte, menomati a vita. Le distruzioni materiali, quanto ad esse, sono considerevoli.
L’operazione è stata lanciata nel corso della festa di Hanoukka, giorno dello shabbat. È stata nominata “piombo fuso” seguendo una canzone di Haïm Nahman Bialik che si intona durante gli otto giorni di Hanoukka. In tal modo, Israele, che si considera “lo Stato ebraico”, connota questa operazione come causa nazionale e religiosa. Hanoukka commemora il miracolo dell’olio: per rendere grazie a dio, gli ebrei che avevano respinto i greci, accesero una lampada ad olio nel tempio senza prendere il tempo di purificarsi; ma mentre la lampada conteneva olio soltanto per un giorno, bruciò per otto giorni.
Legando l’operazione militare attuale al miracolo dell’olio, le autorità israeliane dicono alla loro popolazione che non è atto impuro uccidere i Palestinesi.
La guerra israeliana ha suscitato proteste in tutto il mondo. Le manifestazioni più importanti hanno avuto luogo in Turchia, dove hanno raccolto 700.000 persone. Il National Information Directorate, nuovo organo di propaganda collegato ai servizi del primo ministro, ha allora chiamato i diversi capi israeliani a sviluppare un’altra argomentazione. L’operazione “piombo fuso” sarebbe una battaglia “della guerra mondiale al terrorismo”, dichiarata dagli Stati Uniti e sostenuta dal mondo occidentale.
Infatti Hamas è considerata un’organizzazione terroristica da parte degli Stati Uniti, anche se formalmente non lo è per l’Unione europea. Il governo israeliano tenta di rilanciare la tematica “dello scontro delle civiltà”, cara all’amministrazione Bush, mentre l’amministrazione Obama, che entrerà in funzione il 20 gennaio, ha chiaramente annunciato che l’abbandonerebbe.
Questa gaffe retorica lascia prevedere le motivazioni reali dell’operazione. Queste sono tempo da ricercare allo stesso nella natura del confronto e nella particolarità dell’attuale operazione. La logica del movimento sionista è di adattarsi questa terra ripulendola etnicamente o, in caso contrario, di imporre un sistema di segregazione. I palestinesi sono allora parcheggiati in riserve, sul modello dei bantustan sudafricani; come la Cisgiordania da un lato, la striscia di Gaza dall’altro.
Ogni 5/10 anni, un’importante operazione militare deve essere spiegata per rompere le velleità di resistenza di questa popolazione. Da questo punto di vista l’operazione “piombo fuso” è soltanto un massacro in più, perpetrato da uno Stato che usufruisce dell’immunità totale da sessant’anni. Come ha rivelato Haaretz, il ministro della difesa Ehud Barack ha accettato la tregua di sei mesi soltanto per spingere i combattenti di Hamas ad uscire dall’ombra. Ha messo a profitto questo periodo per studiarli, allo scopo di distruggerli appena se ne fosse presentata l’occasione [2].
L’offuscamento della nuova amministrazione USA
Resta il fatto che questa operazione si volge durante il periodo transitorio della presidenza statunitense. Dal settembre 2008, gli osservatori attenti prevedevano che Barack Obama sarebbe andato alla Casa Bianca grazie al sostegno di una coalizione eteroclita che comprende il complesso eco-finanziario, il movimento sionista, i generali in rivolta ed i partigiani della Commissione Baker-Hamilton. Da parte mia, avevo annunciato questo risultato fin dal mese di maggio. Ma questa coalizione non ha posizioni definite sul Vicino-Oriente.
I generali in rivolta ed i partigiani della Commissione Baker-Hamilton pensano assieme al loro mentore, il generale Brent Scowcroft, che gli Stati Uniti hanno sovraesteso i loro eserciti, e devono imperativamente limitare i loro obiettivi e ricostituire le loro forze. Si sono opposti ad una guerra contro l’Iran, ed al contrario hanno affermato la necessità di ottenere l’aiuto di Teheran per evitare la rovina in Iraq. Deplorano i tentativi di rimodellamento del grande Medio Oriente (cioè della modifica delle frontiere) e chiedono un periodo di stabilità. Alcuni di loro giungono perfino a raccomandare di fare passare la Siria e l’Iran nel campo atlantico forzando Israele a restituire il Golan e a risolvere parzialmente la questione palestinese. Propongono di ricompensare gli stati che naturalizzeranno i palestinesi e d’investire in maniera massiccia nei territori per renderli economicamente autosufficienti.
Questa prospettiva significa la fine del sogno d’espansione sionista, tanto quanto la fine di alcuni regimi arabi sostenuti, fino a oggi, da Washington. Da parte loro, i sionisti statunitensi che hanno lanciato in politica Barack Obama, soltanto dodici anni fa, ai quali si sono aggiunti i Clinton, da quando Hilary s’è convertita al sionismo cristiano ed ha aderito alla Fellowhip Foundation, sostengono la prosecuzione del progetto di segregazione.
Sulla la scia della lettera di George W. Bush ad Ariel Sharon e della conferenza di Annapolis, vogliono completare la trasformazione dei territori in bantustan. Uno o due stati palestinesi sarebbero riconosciuti dagli Stati Uniti ed i loro alleati, ma questo, o questi, stati non sarebbero sovrani. Sarebbero privi di eserciti, la loro politica estera e le loro finanze resterebbero sotto controllo israeliano. Se si riuscisse a sradicare la resistenza, alla fine si confonderebbero nel paesaggio, come le riserve indiane negli Stati Uniti.
Preoccupati per il loro futuro comune, delegazioni egiziane, israeliane e saudite si sono riunite in Egitto in settembre ed ottobre 2008. Secondo una fonte della resistenza, al termine di questi negoziati, si è deciso che in caso di un’evoluzione sfavorevole di Washington, Israele lancerebbe una vasta operazione militare a Gaza, finanziata dall’Arabia Saudita, mentre l’Egitto farebbe entrare dei paramilitari a Gaza. Se parecchie volte, in passato, i governi arabi hanno lasciato campo libero ad Israele, è la prima volta che partecipano alla pianificazione di una guerra israeliana, costituendo così un asse sionista-musulmano.
Informata in tempo reale dal capo di gabinetto Rahm Emanuel (doppio nazionalità Israeliana-USA ed ufficiale dell’intelligence militare israeliana) delle rapporti di forza nell’ambito del gruppo Obama, la troika Israele-Egitto-Arabia saudita ha avuto la notizia della ripartizione delle funzioni. I posti importanti al segretariato di Stato saranno affidati a protetti di Madeleine Albright e di Hillary Clinton. I due segretari di Stato aggiunti, James Steinberg e Jacob Lew sono sionisti convinti. Il primo è stato uno dei redattori del discorso di Obama presso l’AIPAC.
Il Consiglio nazionale di sicurezza è in mano agli atlantisti, preoccupati che le provocazioni israeliane sfocino nell’interruzione dell’approvvigionamento energetico dell’occidente: il Generale Jones e Tom Donilon. Jones che era incaricato di seguire la conferenza di Annapolis, ha più volte espresso la sua irritazione di fronte alla mossa israeliana. Il segretariato alla difesa resta nelle mani di Robert Gates, un ex-assistente di Scowcroft ed un membro della Commissione Baker-Hamilton. Si prepara a dare il benservito ai collaboratori che ha ereditato da Donald Rusmfeld e che non aveva potuto trasferire prima, come ha già fatto con due maniaci anti-iraniani, il segretario all’aviazione militare Michael Wynne ed il suo capo di stato maggiore, il Generale T. Michael Moseley. Inoltre, Gates è riuscito ad imporre il suo amico Léon Panetta, già membro della Commissione Baker-Hamilton, alla testa della CIA.
Riassumendo, la troika può sempre contare sull’appoggio diplomatico degli Stati Uniti, ma di più sul suo massiccio aiuto militare.
L’Egitto, l’Arabia Saudita e 10.000 paramilitari arabi con Israele
È il punto nuovo nel Vicino-Oriente. Per la prima volta una guerra israeliana non è finanziata dagli Stati Uniti, ma dall’Arabia Saudita. Riad paga per schiacciare il principale movimento politico sunnita che non controlla, Hamas. La dinastia del Saud, sa che deve distruggere ogni alternativa sunnita nel Vicino-Oriente per mantenersi al potere, è per questo che ha fatto la scelta del sionismo musulmano. L’Egitto, quanto ad esso, teme un’estensione, attraverso i fratelli musulmani, delle sommosse sociali. La strategia militare resta tuttavia statunitense, come in occasione della guerra del 2006 contro il Libano.
I bombardamenti non sono concepiti per eliminare i combattenti, cosa che ho indicato sopra, non ha senso in ambiente urbano, ma deve paralizzare la società palestinese nell’insieme. È l’applicazione della teoria dei cinque cerchi di John A. Warden III.
In definitiva, sempre secondo Haaretz, Ehud Olmert, Ehud Barack e Tzipi Livni hanno deciso la guerra il 18 dicembre, cioè alla vigilia della scadenza della tregua. Il National Information Directorate ha organizzato una simulazione, il 22 dicembre, per preparare le menzogne che servivano a giustificare il massacro.
L’operazione è cominciata il 27 dicembre in modo da evitare che il papato possa immischiarsi. Benedetto XVI°, tuttavia, ha evocato nel suo messaggio di Natale “un orizzonte che sembra ridiventare scuro per gli Israeliani ed i palestinesi”.
Ritorniamo al teatro dell’operazione.
L’aviazione israeliana ha preparato il terreno per una penetrazione terrestre, che apre la via ai paramilitari Arabi. Secondo le nostre informazioni, circa 10.000 uomini sono attualmente ammassati presso Rafah. Esercitatisi in Egitto ed in Giordania, sono agli ordini dell’ex-consulente nazionale della sicurezza di Mahmoud Abbas, il generale Mohammed Dahlan (l’uomo che organizzò l’avvelenamento di Yasser Arafat per conto degli Israeliani, secondo documenti resi pubblici due anni fa). Sono destinati a svolgere il ruolo che era stato attribuito alla milizia di Elie Hobeika, a Beyrouth, quando le truppe di Ariel Sharon circondarono i campi profughi di Sabra e Chatila.
Tuttavia, la troika sionista esita a lanciare i suoi “cani da guerra” finché la situazione militare all’interno della striscia di Gaza resta dubbia. Da due anni numerosi resistenti palestinesi sono stati formati alle tecniche della guerriglia da Hezbollah. Benché siano, in teoria, sprovvisti delle armi necessarie a questo tipo di combattimento, si ignora quali siano la loro esatta forza. Una sconfitta sul campo sarebbe una catastrofe politica per Israele, dopo la sconfitta del suo esercito in Libano, nel 2006, e dei suoi istruttori in Georgia, nel 2008. È sempre possibile ritirare rapidamente i propri blindati da Gaza, ma non sarà lo stesso ritirare i paramilitari Arabi.
L’Unione europea ha fatto appello per una tregua umanitaria. Israele ha risposto che ciò non era necessario, poiché non ci sono altre crisi umanitarie dall’inizio dei bombardamenti. Per prova della sua buona fede, presumibilmente, “lo Stato ebreo” ha lasciato entrare alcune centinaia di autocarri con aiuti alimentari e medici… per i 1400000 abitanti.
In ogni guerra che Israele ha condotto in violazione del diritto internazionale, un palcoscenico diplomatico è stata organizzato per permettergli di guadagnare tempo, mentre gli Stati Uniti bloccavano ogni risoluzione del Consiglio di sicurezza. Nel 2006 furono Romano Prodi e la conferenza di Roma. Questa volta è il presidente francese, Nicolas Sarkozy, che produce l’intrattenimento. Ha annunciato che dedicherebbe due giorni del suo tempo prezioso, per regolare un problema dove gli altri falliscono da 60 anni.
Non lasciando affatto dubbi sulla sua parzialità, il sig. Sarkozy ha inizialmente ricevuto all’Eliseo il ministro israeliano degli affari esteri, Tzipi Livni e il capo sunnita saudo-libanese Saad Hariri, ed ha avuto un colloquio telefonico con il presidente Egiziano Hosni Moubarak, il presidente marionetta dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas ed il primo ministro Israeliano Ehud Olmert.
Thierry Meyssan Giornalista e scrittore, presidente del Réseau Voltaire |
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